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Il progetto “Irrationally Crazy”a Deep Sea

Intervento di Phina Ajuoga Odoyo alla presentazione del libro “Lamiere”a Galatina

 

 

Phina Ajuoga Odoyo,  36 anni è proveniente da Nairobi,  dove lavora come Certified Ethical Hacker and Cyber Security &  Forensic Auditor,  cioè lavora  per garantire la sicurezza dei sistemi informatici bancari e aziendali.  Opera anche come volontaria nello slum di Deep Sea,  dove attualmente segue il progetto  “Irrationally crazy”  che provvede a fornire supporto educativo e scolastico pomeridiano ai bambini del ghetto e sostegno alle loro mamme.   Ha accompagnato Fra Ettore in Italia nella presentazione del libro  “Lamiere”  raccontando la sua esperienza di vita e la nascita della sua  “vocazione”  di volontaria. 

“Scusate se vi ho detto soltanto  “ciao”  ma non conosco molte parole,  spero alla fine del mio soggiorno in Italia di essere in grado di usarne qualcuna in più.  Grazie.   Mi presento.  Mi chiamo Josephina Ajuoga e vengo dalla tribù  dei Luo:  il mio nome significa  “dottore”  e i dottori sono delle persone che nella tribù  hanno il compito di curare il malessere fisico e spirituale di chi si rivolge a loro per aiuto:  in Africa noi diamo i nomi a partire dal periodo dell’anno oppure dalla stagione in cui uno è   nato,  ma diamo ai bambini  anche nomi che possano dare buona fortuna.

Io lavoro per garantire la sicurezza informatica delle banche.  Stasera vi darò  alcune informazioni sui progetti che stiamo portando avanti e come possiamo collaborare insieme.   La prima cosa importante da dire è  la testimonianza che ho avuto in famiglia da mio padre che era veramente una persona altruistica,  anche troppo perché  qualche volta ci ha lasciati cibo per aiutare chi aveva bisogno.  Noi non eravamo molto ricchi però  potevamo mangiare bene almeno una volta al giorno,  ma c’erano tante persone che non riuscivano a mangiare neanche una sola volta:  la sua generosità  era dovuta forse al fatto che lui stesso aveva sperimentato la sofferenza perché  era originario della Tanzania ma fu costretto a lasciarla e spostarsi in Kenya.  Io avevo un rapporto speciale con lui perché  sono la figlia più  grande e la sorella maggiore quindi le mie esperienze fondamentali sono state quelle di occuparmi delle persone anziane e abbandonate e dei bambini di strada e mi ha anche aiutato molto fare parte di un gruppo ecclesiale dei  “proclamers”  cioè  dei lettori ,  quindi la Chiesa mi ha aiutato molto ad aprirmi alla sofferenza del mondo reale.

È  stata la  condivisione con gli altri che ha rimosso quasi un velo nella mia vita,  perché  la Chiesa ad un certo punto  era diventata per me  un insieme  di limitazioni e di  “non fare questo,  non fare quello”:  io però   sono sempre stata una persona alla ricerca del vero Dio,  finchè  qualcosa di particolare è s uccesso nel 2016.  Già  avevo dei segni della presenza di Dio nella mia vita e questo mi ha spinto a cercare ancora di più  come potevo servirlo ed era il periodo di Natale e pregavo intensamente chiedendo  “Signore cosa posso darti”.  Stavo nella Chiesa della Consolata dove c’era un negozio di articoli religiosi e cercavo sia qualcosa da comprare per i miei genitori sia  qualcosa di speciale da fare nel periodo natalizio e lì  ho incontrato un “ragazzo con tanti capelli”che voleva una statua di san Michele e che stava contrattando con il proprietario.  Me ne sono andata dal negozio ma avevo questa particolare domanda su che cosa potevo fare per il Signore e questa domanda mi ha accompagnato per tutta la messa.  Durante la messa,  il prete che presiedeva l’Eucarestia và  a presentare proprio quel ragazzo che stava nella libreria e io ho cominciato a pensare che forse lui non aveva i soldi per comprare la statua di San Michele e che forse il Signore mi stava chiamando a regalargliela.  Il problema è  che quando ho chiesto il prezzo della statua mi sono resa conto che neanche io avevo abbastanza soldi per comprarla,  ma proprio in quell’istante mio fratello mi invia esattamente i soldi previsti per comprare la statua,  così  ho pagato esattamente quanto la statua costava.  Ora,  io volevo far arrivare la statua anonimamente,  come regalo,  quindi sono andata da diverse persone  chiedendo loro  di portare il regalo,  ma tutte le persone conoscevano fra Ettore e mi rispondevano di darglielo io personalmente,  ma io a riguardo  avevo due problemi:  primo,  non conoscevo neanche il nome di questo ragazzo e secondo non volevo che sapesse che avevo fatto io questo acquisto.  Alla fine sono riuscita a trovare un prete che ha accettato di darglielo e appena gli metto nelle mani san Michele,  quello comincia a gridare  “Fra Ettore,vieni!”  e quindi quando fra Ettore si è  avvicinato,  il prete ha cominciato a parlare italiano con lui perché  era stato in Italia.  Il giovane ha insistito che gli lasciassi il mio numero di telefono per ricambiare il dono,  ma io non sapevo che sarebbe stato l’inizio dei miei problemi (ride).  Col passare del tempo,  mi sono dimenticata completamente di questo giovane,  è  passato un anno quando ho ricevuto un messaggio:  pensavo fosse relativo a qualche problema della banca o di lavoro ma non conoscevo il numero e ho lasciato stare,  poi quello ha insistito e quando mi ha mandato un messaggio su whatsapp l’ho riconosciuto dalla foto.  Il suo nome  però non mi sembrava  realistico,perché lui era bianco e il suo nome Marangi in swahili significa  “molti colori”  quindi era il nome di un africano,  non poteva essere di un bianco.  Lo vado ad incontrare al convento e questo frate mi regala  un libro su Dio (di Alberto Maggi) e così  è iniziato questo viaggio.  In uno di questi incontri che abbiamo avuto mi ha invitato ad essere volontaria nella baraccopoli:  io andavo già  nella baraccopoli perché  la messa era più  viva,  ma non ero mai entrata all’interno e così  ho cominciato a visitare le famiglie dello slum,  a vedere come loro vivono e una cosa che non potevo sapere dall’esterno dello slum.  La visita a queste famiglie ha cambiato la mia vita.  Io ho sempre pensato di essere una persona che è  cresciuta in condizioni veramente povere ma confrontandomi con quella realtà  ho pensato di essere invece una persona privilegiata:nello slum vivevano  persone che non avevano niente,  andavano a dormire senza aver mangiato nulla,  completamente affamate,  alcune erano malate senza poter sapere di che tipo di malattie soffrissero o con molte situazioni di dipendenze da droghe o alcool da cui non avevano neanche intenzione di uscire…neanche la chiesa si comportava molto bene  perché  chiedeva soldi per fare grossi progetti di edifici anche a queste persone che a volte ricevono mezzo dollaro al giorno per il loro lavoro e poi c’era l’altro grande problema di donne e bambini sessualmente abusati nello slum senza che nessuno facesse niente per loro…  insomma,  a partire da quel giorno,  ho cominciato a sentirmi vuota e a pensare a cosa avrei potuto fare,  perché  quando andavo a dormire mi veniva da pensare a quelli che non avevano niente per dormire.  È  così  che a partire da allora è  cominciato questo progetto in cui noi ci prendiamo cura di questi bambini e anche delle donne-mamme di questi bambini perché  i papà  non esistono quasi mai.  Il nostro obbiettivo è  fare sì  che questi bambini abbiano una vera e propria famiglia con un po’di serenità  e capacità  di sognare come tutti i bambini normali.  Io ho iniziato con un piccolo progetto occupandomi dell’istruzione di alcuni bambini nel giorno alla settimana in cui ero libera e ho finito col trovare una famiglia nella baraccopoli:  ho cominciato ad amare in modo diverso da come mi era stato insegnato e nella baraccopoli ho imparato a conoscere meglio Gesù,  ho condiviso questa parte della mia vita,  a volte sono ferita dentro ma ogni giorno è  l’occasione per qualcosa di nuovo.

  Ettore ha parlato della terra ed è importante avere un pezzo di terra perché  abbiamo sempre affittato delle case ma questi bambini devono poter avere un posto dove stare: questi bambini sono veramente fragili ed è  facilissimo tornare di nuovo nella strada da dove li abbiamo presi,  per questo sarebbe buono che abbiano una casa da poter chiamare veramente casa e avere uno spazio per le donne dello slum perché  possano potenziare le loro capacità di lavorare e di guadagnare e poter diventare indipendenti.

Vi invito ad unirvi a noi in questo viaggio,  perché  molti di questi bambini sono nati nello slum e anche se loro sognano,  sognano lo slum perché  non hanno visto nient’altro di diverso quindi bisogna rompere questa bolla che li avvolge.  Adesso abbiamo questi 11 bambini del gruppo che non è  stato inserito nella boarding school,  che vivono nello slum e il problema è  che vanno in questa scuola pubblica dove li tengono giusto per non lasciarli in strada durante la giornata ma non apprendono niente e non hanno in realtà  nessuna prospettiva di futuro:  il mio impegno è  di coprire questo gap,  questa assenza di istruzione nel pomeriggio e supplire a quello che la scuola non riesce a fare.  Il progetto è  quello di non dare solo la scuola elementare ma di portarli via via ai gradi di istruzione superiore,  ma venire incontro anche ad altri problemi perché  c’è  anche il problema che non mangiano a sufficienza e molte volte saltano il pranzo,  mangiano solo la sera e la mattina a colazione soltanto il thè  per cui non riescono a stare attenti quando stanno a scuola oppure a volte i genitori sono alcolizzati e sono i bambini a dover provvedere ai genitori,  quindi nel progetto che sto seguendo è  necessario che ci prendiamo cura anche dei genitori.

Trad. dall’inglese realizzata da f.Ettore Marangi

Intervento di Phina Ajuoga durante la presentazione del libro “Lamiere”a Galatina il 13 luglio 2019

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