Testimonianza di Soave Buscemi su Carlo Maria Martini
“La Bibbia incrocia la vita dell’uomo secondo un complesso movimento che va dalla vita alla Parola e dalla Parola ritorna alla vita. La parola di Dio ha squarciato il silenzio dell’universo, ha animato il deserto dell’esistenza, ha dato un senso e una meta ai nostri passi incerti. Quando la parola ci raggiunge l’esilio è vinto Quando Dio parla, sollecita una risposta. Noi rispondiamo al Dio che parla.” (C.M. Martini)
Sabato 6 ottobre 2012 presso la sede di Cavallino dei Missionari Comboniani una buona rappresentanza della nostra associazione e gruppo di lettura popolare della Bibbia ha partecipato ad un incontro sull’apostolato di padre Carlo Maria Martini, dal titolo "Il Dialogo oggi".
Maria Soave Buscemi,biblista e missionaria laica in Brasile, ha aiutato i presenti a ripercorrere il cammino del Cardinale, una vita di cui in parte è stata testimone diretta: proprio a Milano, Maria Soave Buscemi ha perfezionato i suoi studi teologici universitari e sempre lì ha vissuto prima di partire in missione in Brasile, dove ha trascorso la seconda metàdella sua vita e dove si occupa di formazione biblica creando, animando e sostenendo comunità e realtà non solo della Chiesa Cattolica ma anche delle cosiddette “Chiese sorelle”.
I presenti venivano da tutta la Puglia, da San Severo in provincia di Foggia, da Nardò, Ostuni e Galatina:tutti ospiti, in una grande casa immersa nel verde, .della gioiosa comunitàdei Missionari Comboniani guidati da Padre Gianni Capaccioni, il promotore dell’iniziativa.
Non vi è stata necessità di addentrarsi nella biografia di Carlo Maria Martini così ampiamente risuonata attraverso ogni mezzo di comunicazione, in occasione della sua morte:quello di cui si sentiva invece bisogno, infatti, era la testimonianza di chi lo avesse conosciuto di persona e Maria Soave Buscemi si è rivelata senz’altro la più adatta a rispondere a questo bisogno. Sul bisogno come condizione del corpo e dell’anima si è lungamente meditato, ”il bisogno di chi è altro da me”:p. Gianni, dando un respiro ampio a questo concetto, ha ricordato che “noi cristiani non siamo tutta l’umanità”, poichè essa si articola in mondi, i mondi degli uomini dalle differenti culture, storie, vissuti personali,fedi che, nulla togliendo a Dio e agli uomini ma piuttosto aggiungendo all’umanità ricchezza e bene, a Dio alla fine tutti giungono sebbene con percorsi e linguaggi diversi.
Maria Soave Buscemi il giorno dei funerali del cardinale era a Milano e ha vegliato un intero pomeriggio in Duomo riprendendo il posto di un tempo, seduta per terra con le spalle alla stessa colonna alla quale era sempre solita sostenersi quando si recava ad ascoltare le meditazioni di Martini nella Scuola della Parola e nella Cattedra dei non credenti. La chiesa ha bisogno di sostenersi su colonne che sono la tradizione salda,quella che affonda le sue radici nel Vangelo ed èParola per i poveri:la Parola che ha animato tanti vescovi di Milano,a partire da Ambrogio e che deve essere continuamente riscoperta perchè non venga affuscata dal potere.
Gli incotri della Scuola della Parola e i "Giovedì in Duomo”furono occasioni straordinarie di incontro e di formazione per i giovani d’allora e il ricordo di quelle riflessioni è rimasto ancora vivo in chi ebbe modo di condividerle. Martini giunse a quei giovedì ormai più che cinquantenne: per usare le sue parole si trovava giànella terza fase della vita di un uomo, quella in cui un uomo di Cristo pone domande e ne pone di continuamente nuove,smuove,scuote piuttosto che dare risposte preconfezionate. Su questa scia il Cardinale arrivòad esprimersi pubblicamente rispetto ad eutanasia,omosessualità,metodi di contraccezione e Aids,cogliendo attraverso la Parola i segni dei tempi e sentendosi responsabilmente coinvolto nei drammi dei suoi contemporanei.
L’immagine delle quattro diverse fasi della vita,Carlo Maria l’aveva imparata dalla cultura indiana: prima viene l’infanzia, il periodo in cui siamo bambini e ogni cosa èfonte di conoscenza e di esperienza, il periodo in cui noi impariamo.
Poi arriva la seconda fase, che è la giovinezza, l’età dei grandi amori e delle speranze, in cui insegniamo, mettiamo a frutto tutto ciò che abbiamo imparato. I giovani, diceva Martini, “bisogna saperli aiutare rispettando le loro esigenze di perfezionismo e condurli, nello stesso tempo, a non spaventarsi di fronte alle realtà della vita. È necessario non deludere le loro attese, saperne sfruttare l’idealità e insegnare loro che la realizzazione di un ideale di solito richiede tempi lunghi”.
Poi, nella terza fase, l’uomo giunge all’età adulta,che è l’età dell’erranza:errare per “giungere ad una visione esatta della realtà”. Errare in entrambi i valori e i sensi, recanti la medesima radice, precisa Soave: essere nomadi ma anche sbagliare, intraprendere viaggi o cammini per andare alla ricerca della verità ma anche rischiare di allontanarsene. Nel Deuteronomio leggiamo: «Mio padre e mia madre erano aramei erranti» (Dt 26,5).
La condizione di questo eterno peregrinare alla ricerca della Terra promessa è la storia dell’Esodo, della Pasqua da Abramo, straniero nella Terra di Canaan, al popolo di Dio che fuggì dall’Egitto passando in mezzo alle acque e vivendo quaranta lunghi anni di deserto, da Giuseppe e Maria a cui tutti sbattono la porta in faccia a Gesù che predicava fra i monti della Galilea che il figlio dell’uomo “non ha dove posare il capo” (Mt 8,20 ║ Lc 9,58)
Secondo Martini si puòessere adulti in due modi diversi, infatti ci sono quelli che vengono risucchiati nel vortice degli impegni e finiscono annullati da uno stile di vita improntato quasi esclusivamente al prassismo e quelli che si danno il tempo necessario per maturare le proprie convinzioni e i propri principi: solo questi ultimi, per il cardinale, meritano in pieno il titolo di adulto. Quanto più uno cresce in responsabilità, tanto più sono necessari per lui momenti di ritiro e silenzio:l’adulto è colui che è diventato in grado di riflettere su di sé ed è questo ciò che gli da la possibilità di confrontarsi con la propria fede.
Carlo Maria Martini fu un adulto illuminato:dalla sua capacità di avere una “visione esatta della realtà”nacque l’iniziativa della Cattedra dei noncredenti (1987), formulata in una serie di incontri a tema in cui credenti e non credenti si confrontavano in un dialogo aperto.
L’ultima fase della età dell’uomo e della donna è la mendicanza,l’età del bisogno che Martini ha vissuto fino in fondo a causa del morbo di Parkinson:"la rinuncia ai propri beni significa la capacità di presentarsi con la mano destra aperta, per ricevere umilmente il pane quotidiano. Il tempo in cui la nostra vita dipende sempre più dagli altri…e godere di questo fatto".
Da qui l’importanza vitale di pensare positivo. Quasi ottantenne il vescovo di Milano elaborò uno scritto semplice, a tratti commovente in cui con linguaggio giovanilistico parlava delle nostre fasi di off e on, così come aveva imparato dagli Esercizi Spirituali di Ignazio da Loyola.
Off:“il morso interiore”, lo scoramento, la disperazione,che rende paralitici; on:"la forza e il coraggio"
Egli scrive:
“[…] ma soprattutto interessanti sono le indicazioni che si trovano in questo libretto sul come comportarsi quando ci si trova in questi stati detti anche “grigi”o di “umor nero”, o quando ci si accorge che la mente sta scivolando verso pensieri negativi e tristi. E’ allora molto importante non lasciarsi andare, non aprire la porta a questo tipo di pensieri, e invece scuotersi e favorire tutte quelle cose e attività che possono indurre a entusiasmo, gioia nell’agire, gusto di riuscire. La mia piccola esperienza in questo campo mi ha mostrato come possa essere importante in questo contesto anche l’uso della musica. Ciò vale in particolare per i malati di Parkinson. Per essi è molto importante muoversi e in special modo camminare a tempo e ritmo di musica. Tralasciando quindi altre indicazioni vorrei descrivere brevemente ciò che mi ha aiutato. Ho provato musiche di vari autori, ma alla fine ho concluso che la musica di Mozart è quella che maggiormente aiuta. Mozart infatti esprime mirabilmente, con brillantezza ed energia, la letizia del cuore umano e stimola a superare le fatiche, i blocchi, le difficoltà a muoversi. In particolare quando è necessario camminare, fare esercizio di deambulazione, la musica di Mozart aiuta a marciare a passo di musica e a superare tutte le remore e le difficoltà che tendono a bloccare o ad appesantire la marcia. Talora mi capita anche di muovermi nella mia camera, sotto l’influsso della musica, come a passo di danza e di mettere così con più facilità in ordine le cose o preparare il materiale per lo studio. Ho fatto l‘esperienza che è importante non soltanto sentire la musica che risuona nell’ambiente. Essa deve arrivare alle orecchie attraverso auricolari di vario tipo ed essere tenuta a livello un po’ alto. Infatti il suono che arriva in qualche modo al cervello stimola maggiormente il movimento e dà quel ritmo che invita a muoversi speditamente. Personalmente ciascuno potrà esercitarsi con diversi tipi di musica, e alla fine ciascuno sceglierà quella che trova piùutile. Ma ritengo che in ogni caso la musica di Mozart costituisca un tesoro quasi inesauribile per chi voglia lasciarsi guidare e sostenere dal ritmo e dalla melodia e così dare vigore al suo agire. In essa chi voglia esercitarsi nel “pensare positivo” trova un aiuto concreto e discreto, che non suggerisce pensieri già precostituiti ma stimola la fantasia e il tono affettivo a entrare in una condizione ottimale per agire con impegno e superare le remore e i blocchi nell’azione.
L’età della mendicanza è l’età in cui si ritorna nudi, spogliati di tutto; l’età che più scandalosamente mostra quanto l’altro da sé sia vitale per noi, la nostra vita dipende da lui/lei, e noi ci abbandoniamo in totale umiltà a questo bisogno totale, integrale, definitivo, senza remissione, non più padroni di noi stessi, senza più nulla sotto controllo. Profondamente spossessati di ogni cosa: un’esperienza di pura grazia.
Se affrontassimo il dialogo tra persone, tra chiese, tra età, tra religioni, tra stati sociali politici ed economici con lo stesso abbandono, allora il dialogo diverrebbe un albero carico di frutti che si chiamano utopie, speranze, progetti. In una parola:pace.
"La sfida è ascoltarsi senza mettere nell’altro radici profonde e dopo averlo ascoltato cominciare a parlare senza usare il ma…però…no…" (M.S.Buscemi)
Stefania Tundo- Egerthe Galatina
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