“La verità è che non siamo ancora liberi; abbiamo solo conquistato la libertà di essere liberi, il diritto a non essere oppressi. Non abbiamo ancora compiuto l’ultimo passo del nostro viaggio, ma il primo di un lungo e anche più difficile cammino. Per essere liberi non basta rompere le catene, ma vivere in un modo che rispetti e accresca la libertà degli altri. Il vero test della nostra fedeltà alla libertà è solo all’inizio. Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà, ho cercato di non vacillare, ho compiuto passi falsi, ma ho scoperto il segreto che dopo aver scalato una collina, si capisce che ce ne sono ancora altre da scalare” (N.Mandela).
Rosa Siciliano,direttrice di Mosaico di Pace, una tra le più importanti testate italiane riguardanti i temi della pace e dei diritti umani, dà inizio così al suo intervento nell’ambito dell’incontro dedicato alla Dichiarazione dei Diritti umani realizzato da Egerthe! a Galatina: lo fa dedicando la serata alla “gente di Palestina” e idealmente a tutte quelle persone che ogni giorno nel mondo vivono situazioni di assoluto disagio e violazione continua dei propri diritti fondamentali ma col pensiero rivolto anche ai grandi spiriti del nostro secolo, come Nelson Mandela morto proprio in questi giorni, simboli di speranza e di sofferenza nella lotta per la liberazione dei popoli.
Oggi, in molte zone dell’Africa e del mondo ci sono ancora schiavi: pensiamo al Congo e alla guerra del Coltan, a quella del litio, sostanze per noi sconosciute ma preziosissime per poter garantire ai popoli occidentali l’uso della tecnologia e dei mezzi di comunicazione. Ecco che in un mondo e in un epoca storica in cui la schiavitù non è per niente stata sconfitta ma si è semplicemente trasformata,la dichiarazione dei diritti umani ci pone in discussione:a tutti questi popoli a cui abbiamo accennato e di cui abbiamo scelto come simbolo la Palestina, noi dovremmo chiedere perdono, perchè siamo complici nel tenerli schiavi, perchè sono popoli a cui abbiamo teso la mano dopo aver tenuto il fucile, perchè in realtà i dittatori che li opprimevano erano nostri amici e partner economici fino a pochi anni fa e alcuni addirittura lo sono ancora.
I poveri siamo noi: il futuro dell’umanità e la speranza la si può ricostruire partendo dalla parola, partendo dalla consapevolezza di avere il diritto di pensiero, di parola e di azione e di essere uguali in dignità e in diritti, perchè tutti dotati di ragione e di coscienza. Don Lorenzo Milani in una lettera molto bella anche se sconosciuta rispetto alle altre, chiedeva ai genitori di costringere i propri figli a studiare perchè si può diventare liberi solo con la consapevolezza di essere qui nel mondo, con lo studio, con la capacità di cogliere i meccanismi sottesi rispetto a ciò che accade e che non sempre ci vengono trasmessi dai mezzi di comunicazione. La dignità non è un contenitore vuoto ma và costruita, presa in mano e và riportata in piazza, così come del resto abbiamo fatto per riprenderci il dono dell’acqua pubblica e cosìcome noi speriamo si possa fare ancora per impedire la costruzione degli F35, aerei da combattimento e d’attacco, non di difesa, che in Italia si producono in provincia di Novara e che prevedono la spesa di 15 miliardi di euro in piena crisi economica: aerei inutili, peraltro tecnicamente contestati ma soprattutto contrari alla nostra Costituzione che ripudia la guerra.
Tendere la mano al fratello non è dargli una pistola, ma è restituirgli i diritti di cui ha bisogno e cioè il lavoro, la dignità, la vita, l’istruzione, la scuola, la salute. Per costruire un mondo migliore conclude Rosa Siciliano, «dobbiamo rimboccarci le maniche, poiché solo i poveri possono darci la forza di costruirne uno diverso e sicuramente migliore”.
Il dialogo con Paolo Farina, teologo, saggista e insegnante impegnato in politica, si apre con un confronto tra il testo dell’articolo 1 della Dichiarazione dei Diritti Umani e quello dell’articolo 3 della Costituzione italiana, confronto dato dal fatto che entrambe sono nate dall’esperienza della guerra e della barbarie fratricida.
L’articolo 1 della Dichiarazione Onu recita: “tutti gli esseri umani nascono uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
Si tratta di un enunciato molto bello, ma nell’articolo 3 della nostra Costituzione –e mentre lo leggiamo Paolo ci invita a pensare a a Calamandrei, a La Pira,a De Gasperi – vediamo emergere tutta un’altra profondità e incisività di propositi: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociali e sono eguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di convinzioni personali, sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà, l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. “
Calamandrei pronunciò un commento all’articolo tre anni dopo che era stato scritto: “È compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti,dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. 1°, "La Repubblica d’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro", questa formula corrisponderà alla realtà perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica, perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale” – in questo senso - egli dirà più avanti, la Costituzione è profezia,cioè un compito da attuare non una cosa già fatta.
La testimonianza di Paolo Farina è legata ad alcune esperienze didattiche e ad alcuni viaggi fatti in Palestina. Domani saranno 65 anni dalla Dichiarazione dei diritti umani ma saranno anche 65 anni e sei mesi (mancheranno 4 giorni) dal 14 maggio del 1948, anno in cui Israele con la Dichiarazione 194 sancì unilateralmente, il principio di diritto e non di fatto di “due popoli e due stati”: visto che i palestinesi non accettarono la risoluzione unilaterale 194, Israele diede inizio alla nakbah. Nakbah è la traduzione araba di shoah e significa esattamente distruzione, catastrofe, rovina:èqualcosa come 500 villaggi e case rasi al suolo, 700mila profughi e questo accadeva esattamente nei giorni, nei mesi, nelle settimane in cui l’Onu scriveva e proclamava l’articolo 1, ma pochissime persone lo sanno.
Mentre nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ci si impegnava come comunità internazionale di stati a dire che tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti di fatto nessuno mosse un dito, nessuno pronunciò una parola di denuncia su quello che di fatto stava accadendo e accade ormai da 65 anni. 400 pellegrini all’anno si recano in Terra santa ma ci vanno con il paraocchi, perchè nessuno sa che a due passi da Betlemme c’è il campo profughi di Aida. E’ l’importante non fermarci a guardare la realtà solo con gli occhi, ma di soffermarci anche a com-patire.
Parlare di diritti significa che quando noi com-patiamo non siamo indifferenti, riusciamo a fare la differenza. Quando si diventa operatori di pace? Oggi stesso, decidendo di formarsi, di informarsi, di leggere: arriverà il momento in cui sapremo cosa fare di questa esperienza e ci verrà richiesto.
Paolo racconta appassionatamente delle sue esperienze didattiche a fianco ai ragazzi delle scuole superiori:del libro su temi di attualità che ogni anno le sue classi pubblicano e regalano alla città, dopo aver fatto esperienze sul campo di volontariato, ricerche,lavori di sintesi. Per insegnare ai ragazzi che siamo tutti uguali niente di meglio di un’esperienza di volontariato al Centro di accoglienza di Andria, dove ogni giorno vengono sfornati 600 pasti e alla fine di quell’esperienza ènato Un gommone carico di sogni; per far capire loro che le donne devono essere rispettate, per un anno hanno frequentato il Centro antiviolenza di Andria, raccontando quello che avevano vissuto nelle pagine di Dillo Donne; la pubblicazione dell’anno scorso invece ha come titolo Dipendente –mente ed ha come argomento la tossicodipendenza.
Simone Weil diceva “cambiare se stessi è altrettanto difficile che cambiare il mondo” anzi il più delle volte il non poter cambiare il mondo è una scusa per non cambiare se stessi. Noi spesso diciamo: “dobbiamo cambiare il mondo,ma come faccio io? Io sono piccolo, non ci riesco e quindi non faccio niente” invece cominciamo a dire: "incomincio ad informarmi". Noi abbiamo il dovere di sapere se vogliamo agire e solo se sappiamo diventiamo attori.
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